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La preghiera: opera dello Spirito in noi
Editoriale di Suor Maria Deodata, della comunità benedettina
In queste settimane, dopo la festa di tutti i Santi e la commemorazione dei Fedeli defunti, sentiamo che il Natale si avvicina. Con l’Avvento ha inizio l’anno liturgico, il tempo sacro della grazia (kairòs) in cui la Chiesa celebra il grande mistero della salvezza. Il suo nucleo è Gesù Cristo: il Figlio di Dio che si è incarnato ed è entrato nel mondo per condurre, attraverso la sua Pasqua, tutti gli uomini al loro fine ultimo, alla piena comunione di vita con Dio nel Regno dell’eterna vita.
È proprio da qui che possiamo inoltrarci nell’affrontare il tema della preghiera perché, come ci dice la lettera ai Galati di San Paolo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!» (Gal 4,4-6). Quindi noi preghiamo perché abbiamo ricevuto lo Spirito: è lo Spirito che prega in noi.

Ma che cos’è la preghiera? Come definirla, dato anche il momento storico che stiamo vivendo? Potremmo considerarla sotto in quattro aspetti:
1. Preghiera come grido
2. Preghiera come apertura allo Spirito
3. Preghiera come ascolto di Dio che parla
4. Preghiera come impegno per la pace


1. PREGHIERA COME GRIDO

L’uomo vivo è una creatura che grida. Grida nascendo, sia pure con un debole vagito, grida morendo quando consegna in un gemito l’ultimo soffio della sua vita. Grida di gioia e grida di dolore, grida di stupore e grida di paura… In ogni situazione egli vuole avvertire l’attenzione di qualcuno, vuole uscire dalla sua solitudine, sperimentare una presenza che lo ascolti, che lo accolga, che lo salvi.
Il grido è la più intensa espressione della preghiera. L’uomo implora Dio anche quando non lo conosce e non lo riconosce, proprio come il bambino si stringe istintivamente alla madre. Ogni grido e ogni invocazione rivolta a Dio rientra nella preghiera che ci ha insegnato Gesù e che egli, come uomo, ha rivolto a Dio chiamandolo semplicemente “abbà, papà”. Potremmo dire che la preghiera è il colloquio d’amore tra il Padre e il Figlio. Con il Battesimo - che ci rende figli di Dio - questo Amore viene comunicato anche a noi. Se sapessimo sintonizzare il nostro cuore con lo Spirito, non avremmo bisogno di altre parole per essere una preghiera continua.

2. PREGHIERA COME APERTURA ALLO SPIRITO

La nostra vita diventerà un’unica e continua preghiera quando faremo spazio allo Spirito e saremo trasfigurati anche nel nostro modo di pensare, di agire e di sentire, in ogni nostra azione, in ogni nostro desiderio. Per questo sant’Antonio abate diceva: “Pregare è respirare Cristo”.
Perché la preghiera possa diventare il respiro dell’uomo e quasi il ritmo del suo cuore nel cammino di ritorno a Dio, è indispensabile ritrovare la dimensione del silenzio interiore ed esteriore, in cui Dio possa far sentire la sua voce. Abbiamo bisogno di una continua conversione e purificazione da ciò che “contrista” lo Spirito, ossia che impedisce di farci camminare, sotto la sua guida, sulle vie di Dio e lo costringe negli angusti limiti dei nostri criteri umani, spesso dettati dall’egoismo e dall’ambiguità. La preghiera non è compatibile con l’orgoglio, con la superbia, con la ricerca di noi stessi e con la vanità.
Ci sono tanti luoghi in cui è possibile fermarsi a pregare, ma ciò che è importante è scoprire che nel nostro intimo c’è il vero luogo della preghiera, un santuario dove Dio è presente e dove noi possiamo stare sempre in comunione con Lui anche mentre svolgiamo tante altre attività.
Chiamare Dio “abbà” comporta pure la disposizione al “fiat” di fronte non al nostro progetto di vita ma al suo disegno di salvezza.

3. PREGHIERA COME ASCOLTO DI DIO CHE PARLA

La preghiera è il colloquio con Dio. Il Signore ci guarda, ci chiama, ci parla e suscita in noi una risposta fiduciosa. Pregare è ascoltare Dio per comprendere la sua volontà e trovare la forza di aderirvi in ogni momento con una sempre maggiore conformazione a Cristo, modello per eccellenza della vita dei figli di Dio. Non dobbiamo dimenticare che luoghi privilegiati dell’incontro con Dio e della preghiera sono l’Eucarestia, l’ascolto della Parola (lectio divina) e la Liturgia delle Ore (preghiera dei salmi).
L’Eucarestia è incontro con il Risorto, è memoriale e sacrificio. Celebrare l’Eucarestia significa lasciare che Cristo riviva in noi quell’atteggiamento di fede e di amore che l’ha portato al dono totale di sé; significa assumere gli stessi sentimenti di Cristo: l’adesione alla volontà del Padre, l’apertura del cuore ai fratelli nel rendimento di grazie.
L’ascolto della Parola è ascolto di Gesù, il Vivente che ci chiama ed è presente nella sua Chiesa. La Parola ci mette nel cuore i pensieri di Dio, come diceva san Gregorio: «Impariamo a conoscere il cuore di Dio attraverso le sue parole».
Dio, donandoci i salmi, ci insegna a parlargli spezzando il mutismo di chi dispera di poterlo incontrare. Essi sono “amici” che ci vengono incontro per piangere ed esultare con noi, per darci una mano, per farci rialzare dalle nostre cadute e per rimetterci in cammino. “Canta e cammina”, esortava sant’Agostino. E così, pregando, si avanza nella storia “tra le tribolazioni del mondo e le consolazioni di Dio”, secondo la bella espressione della Lumen Gentium. 
La preghiera è il respiro dell’anima che si sente in familiarità con Dio e che si mette in docile ascolto della sua voce. È il grido del pellegrino che, camminando nella nube oscura della fede, anela alla pienezza della luce e della pace; è il riposo del “sabato senza sera” di cui ancora parlava sant’Agostino. È anche la voce silenziosa del peccatore che riconosce la propria miseria e umilmente la pone dinanzi a colui che è Misericordia.

4. PREGHIERA COME IMPEGNO PER LA PACE

“Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). Come risposta a questa richiesta degli Apostoli, Gesù ha detto: “Quando pregate, dite: Padre nostro” (Mt 6). Tutta la preghiera ha come fine incontrare il vero volto di Dio e chiamarlo Padre. Questo però ci impegna a vivere e pregare per la pace, perché tutti gli uomini, nostri fratelli e figli dell’unico Padre, abbiano una vita dignitosa e sicura. È il nostro contributo per la costruzione del Regno di Dio: vivere riconciliati con noi stessi e con gli altri, cercando di vivere il Vangelo dell’amore, di allargare lo sguardo ai più poveri e bisognosi, e di abbracciare le dimensioni del Cuore di Cristo.

In coloro in cui lo Spirito non è contristato, in cui la sua voce non è soffocata, il grido della preghiera – carico di tutta l’angoscia e la speranza umane – è la più alta professione di fede. E l’uomo di oggi ha più che mai bisogno che vi sia qualcuno capace di chiamare Dio “Padre” per accorgersi di non essere semplicemente il risultato di un lungo processo biologico, ma il frutto dell’amore di un Dio che l’ha personalmente amato e voluto da sempre e per sempre.

Suor Maria Deodata
per la Comunità benedettina “Regina Pacis” di Saint-Oyen

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