Pregare è prima di tutto ascoltare
Pregare è prima di tutto ascoltare
Omelia
Lo so che è un po’ che non vengo, ma non perché ho dimenticato. Ci siamo riuniti stasera perché non intendiamo dimenticare. Ricordiamo, perché si cresce anche così.
Stasera non vogliamo dimenticare un avvenimento che ci ha fatto soffrire molto: la morte di 3 giovani, e lo facciamo riunendoci in preghiera. Mantenere il ricordo fa bene anche a noi (oltre che a loro). Non è questione di memoria o di affetto. È molto di più.
Stasera non siamo qui per fare quattro chiacchere da bar o per un semplice ricordo. Potremmo chiacchierare tanto e anche bene su sofferenza e morte, ma stasera abbiamo scelto di pregare.
La morte è una realtà, che ci accompagna sempre, è una certezza in vita di ogni uomo, e con essa dovremo fare i conti, dobbiamo fare i conti con la morte. Io stesso in questa stagione della vita mi sto preparando in questi mesi, più del solito.
Quanto a preghiera, scopriamo che da sempre l’uomo prega, da quando esiste (vedi le incisioni rupestri). Bene o male l’uomo prega, in maniera ingenua o più profonda, ma sempre. Qualcuno ha scritto che la preghiera rende l’uomo più uomo. Pregare è un istinto, un desiderio, un bisogno. Tutti pensiamo di sapere cos’è pregare. Ma, io vi dico che sono arrivato a 77 anni dopo avere pregato per rivolgermi a Dio dicendo: insegnami a pregare e questo dopo avere pregato per una vita. Mi accorgo che devo ancora purificare molto il mio modo di pregare. Ho chiesto a Dio i tempi supplementari (non mi ha ancora risposto, ma so che mi accompagna).
C’è tanta confusione circa la preghiera. C’è chi la ritiene inutile, infantile, una illusione, solo un sogno… C’è chi la ritiene un gesto un po’ magico. C’è chi si aggrappa alla preghiera senza sapere perché. C’è chi vede nella preghiera il tentativo di convincere Dio a fare quello che noi pensiamo essere il nostro bene (una specie di commercio: io ti prego e tu mi devi ascoltare). C’è chi pensa che il pregare è il rifugio illusorio dei deboli. Gli uomini veri sono autosufficienti e per questo non pregano. C’è chi pensa che il pregare sia dire tante parole. Invece pregare è prima di tutto ASCOLTARE. È decisivo per noi prima di tutto ascoltare. Questo significa ammettere una evidenza che, paradossalmente dimentichiamo: cioè che non siamo noi gli autori di noi stessi. Pregare allora è ascoltare l’autore primo di questa vicenda misteriosa che è l’essere umano con la sua storia non sempre facile da interpretare.
Stasera siamo qui prima di tutto a pregare ascoltando Dio che parla, otre a questo avvenimento, all’intimo di ciascuno di noi. Con umiltà.
Pregare da cristiani è anzitutto scoprire un Dio vicino, tanto vicino. Dio non ha spiegato tutto con le parole. Dio si è abbassato, ha rinunciato alla sua onnipotenza per condividere tutta la vicenda umana, morte compresa. La morte di Gesù è stata violenta, ingiusta e sperimentata nel pieno della giovinezza per dirci: quando tu soffri, Dio è con te, soffre con te. Per darti la certezza che la luce è più forte dell’oscurità. Dio ha accettato la morte perché ha amato (e ama tuttora) l’uomo. Ha accettato che tutto il male si scatenasse e si sfogasse contro di lui. Per amore. Proprio in questo atto d’amore sta la sconfitta del male. Cristo ci fa capire che l’unica maniera di sconfiggere il male (fisico e morale) è il bene, il donarsi, il prendersi cura di… , il dare la vita per…
Per questo noi allora possiamo legittimamente avere la speranza certa che la sconfitta del male è segnata.
Pregare è partire dalla vittoria di Cristo sulla morte. Qui c’è davvero il senso totale della storia umana (più che gli episodi scritti sui libri di scuola).
La vicenda umana, talora incomprensibile, dura, drammatica, eppure insieme affascinante, trova luce e senso più che nelle parole, nelle spiegazioni, in questo fatto di Dio che muore e vince poi la morte. Pregare allora è cogliere il segreto della storia e lasciarsi illuminare da questa visione altissima della vicenda umana. La sofferenza, morte, male, potremmo dire sono inevitabili nella vita dell’uomo, sia perché l’uomo è creatura costitutivamente limitato, effimero (è nella natura) fisico sia perché l’uomo è libero e quindi può essere anche autore della sofferenza e del male.
Vivere la sofferenza e il male pregando cambia tutto, ci permette di leggere la storia degli uomini (con il grande confronto-scontro tra il bene e il male) non come un ammasso caotico, casuale di miliardi di episodi ma come un cammino dell’uomo verso la liberazione totale.
Pregare non è un sogno, una illusione, non è solo un pio confronto. Pregare è l’unico gesto capace di far cogliere il significato della vicenda umana e della sua libertà. Pregare è l’unico gesto che riesce ad allargare la ragione, là dove la ragione si ferma, è aprire un varco là dove la ragione non riesce più a penetrare. Ragione illuminata dalla preghiera: solo così conosci davvero la realtà tutta intera.
Se c’è una cosa ragionevole, questa è proprio la fede, la preghiera (Benedetto XVI). L’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà. Ragione e preghiera insieme per capire tutta la vita, morte compresa, e allora la morte non è più l’annullamento della vita, ma la liberazione completa da ogni male per giungere alla felicità piena, solida e totale che è Dio. La vita non è una parentesi casuale tra due nulla.
La preghiera e la fede ci dicono che:
- a morte non è la fine, non è un baratro. La storia umana non va verso la fine ma verso la pienezza, verso la totale liberazione;
- Katia, Gabriele e Annalisa sono vivi, in una dimensione altra, piena. Sono qui con noi;
- riflettere sulla morte ci aiuta a cogliere ciò che davvero conta: tenere aperte le domande sul mistero della morte, è la chiave per orientarci nell’inestricabile mistero della vita;
- a questo punto è giusto certo curare la durata della parte terrena della vita (vedi la salute), ma ciò che più conta è non quanto dura questa vita qui (non ci è dato saperlo), ma come la vivi, cioè quanto amore generi.
Questo è quello che ci insegnano Katia, Gabriele e Annalisa, che una brutta sorte ci ha tolto troppo presto. Non con le parole, ma con la loro vicenda. Il dolore è tremendo, ancora vivo, ma non va sciupato. Diventi motivo di purificazione per imparare ad amare in profondità.