Intervista a don Samuele Marelli
Intervista a don Samuele Marelli
20esimo anniversario di ordinazione sacerdotale
Come è nata la tua vocazione?
A distanza di alcuni decenni direi che la mia vocazione è nata da un intreccio singolare e prodigioso tra ordinarietà e straordinarietà; certamente è nata dalla vita di tutti i giorni, in particolare dall’impegno in oratorio, ma indubbiamente anche da alcune esperienze particolari e da alcuni incontri che sono stati per me una forte provocazione. Mi pare che sia capitato così: quando ho sperimentato la realtà come provocazione ho intuito che la vita è vocazione.
Qual’è la cosa che ti piace di più nel fare il prete?
Sono tendenzialmente onnivoro perché mi piace tutto e questa cosa chiede anche di sapersi porre dei limiti perché non si può fare tutto. Se dovessi comunque scegliere qualcosa in particolare certamente direi quello che è stato il filo conduttore in questi vent’anni e cioè la pastorale giovanile che ho sempre vissuto come una sfida bella anzitutto per me, come opportunità e grazia, perché la giovinezza custodisce il tesoro prezioso della sincerità, della scoperta, della libertà e dei grandi slanci del cuore. Stare con i ragazzi e i giovani è davvero per un prete un’immensa benedizione perché in qualche modo ti viene chiesto di metterti in gioco e rinnovarti continuamente. Infine, è molto consolante vedere i ragazzi diventare grandi perché questo ti fa capire che ogni sforzo educativo non è vano.
Un tuo consiglio per chi si interroga sulla propria vocazione.
Dire di fidarsi del fatto che Dio sa meglio di noi qual è il nostro bene e dunque è necessario affidarsi più che pensare troppo. Di solito noi pensiamo che le cose prima si capiscono e poi si provano ma nella vocazione avviene esattamente il contrario: finché non provi non capisci del tutto.