Celebrazione cristiana, una chiamata alla bellezza e all’amore
Celebrazione cristiana, una chiamata alla bellezza e all’amore
Liturgia
Nella Lettera apostolica di papa Francesco Desiderio desideravi sulla formazione liturgica del popolo di Dio una delle espressioni ricorrenti è «lo stupore». Viene d’istinto domandarci: «Ma quanti partecipano alla liturgia vivono questo stupore?». Sarebbe ingenuo rispondere affermativamente, ma troppo sbrigativo pensare che nessuno possa provare questo “sentimento”. Forse l’abbiamo provato da ragazzi, quando i simboli della liturgia venivano da noi accolti come un messaggio di grandezza, una parola d’amore. È amara, ma realistica l’affermazione di papa Francesco: «L’uomo moderno – non in tutte le culture allo stesso modo – ha perso la capacità di confrontarsi con l’agire simbolico che è tratto essenziale dell’atto liturgico» (27). C’è però qualche esperienza che apre alla possibilità dello stupore. Non è distante da noi nel tempo il giovane Carlo Acutis, che ha definito l’Eucaristia «autostrada del cielo». In queste parole di un adolescente della nostra epoca appare una presenza di stupore per la possibilità data a chi dal Sacramento della Pasqua del Signore si lascia coinvolgere e riconosce una chiamata alla bellezza e all’amore.
Il Papa insiste: «Lo stupore di cui parlo non è una sorta di smarrimento di fronte a una realtà oscura o a un rito enigmatico, ma è, al contrario, la meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù, la cui efficacia continua a raggiungerci nella celebrazione dei misteri» (25). E poi continua: «La bellezza, come la verità, genera sempre stupore».
Il desiderio di noi
Perché lo stupore sia sintesi del nostro vivere la liturgia, diventa irrinunciabile l’acquisizione di una consapevolezza che è frutto di una adeguata formazione liturgica che il Papa chiama «questione decisiva». C’è una “formazione alla liturgia” e c’è una “formazione dalla liturgia”. La prima potrebbe trovare un posto adeguato nella catechesi, la seconda è occasione propizia offerta ogni volta che la nostra partecipazione tende a comprendere ciò che celebra, così che il celebrato diventi vissuto.
Il punto di partenza per vivere in pienezza il dono della liturgia è ricordare che «prima della nostra risposta al suo invito – molto prima – c’è il suo desiderio di noi: possiamo anche non esserne consapevoli, ma ogni volta che andiamo a Messa la ragione prima è perché siamo attratti dal suo desiderio di noi» (6). Basterebbe riappropriarci di questa verità per non dimenticare che «la domenica prima di essere un precetto, è un dono che Dio fa al suo popolo (per questo motivo la Chiesa lo custodisce come un precetto)» (65).
Dopo aver sottolineato che «è la Chiesa, Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote» (36), papa Francesco parla di «ars celebrandi» che «non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire» (48).
Il valore del silenzio
C’è un passaggio nella Lettera apostolica che certamente può aiutare a crescere nello stupore per vivere la liturgia: «Tra i gesti rituali che appartengono a tutta l’assemblea occupa un posto di assoluta importanza il silenzio» (52). Spesso sono trascurati quei momenti in cui si sosta in silenzio. Possono sembrare una inutile perdita di tempo. Potrebbero essere vissuti nella distrazione, col desiderio che chi presiede riprenda a guidare l’assemblea. Da parte dell’animatore liturgico ci potrebbe essere la preoccupazione di riempire col canto o con delle monizioni (spesso eccessive).
Il silenzio liturgico «è il simbolo della presenza e dell’azione dello Spirito Santo che anima tutta l’azione celebrativa (…); muove al pentimento e al desiderio di conversione; suscita l’ascolto della Parola e la preghiera; dispone all’adorazione del Corpo e del Sangue di Cristo; suggerisce a ciascuno, nell’intimità della comunione, ciò che lo Spirito vuole operare nella vita per conformarci al Pane spezzato. Per questo siamo chiamati a compiere con estrema cura il gesto simbolico del silenzio: in esso lo Spirito ci dà forma» (52).
Forse proprio a partire dal silenzio ci apriremmo allo stupore e non sentiremmo la distanza tra la vita di tutti i giorni e la celebrazione della Pasqua del Signore nella liturgia.