Omelia dell'Arcivescovo a conclusione dell'80° Anniversario della Giornata del Voto

La prima parola è GRAZIE. 

La giornata del voto è frutto di una grazia ricevuta, che ha ottenuto per Figino la liberazione dal pericolo del bombardamento. 
Alcuni immaginano che la Grazia sia come un regalo, una cosa che ti è stata data e tu usi bene. La Grazia non è un regalo. Alcuni pensano che la grazia sia un privilegio come se Dio dicesse “quelli di Figino li proteggo mentre quelli di Gorla o di Erba lasciamo che siano bombardati”: la grazia non è privilegio perché Dio ama tutti i suoi figli. Alcuni pensano che la Grazia sia una coincidenza fortunata: ad alcuni va bene e ad altri va male.
La Grazia è in realtà una vocazione. Dio ci chiama. Ciascuno è chiamato a dare un senso alla sua vita. Qui un paese intero riceve una grazia. Ciascuno di noi riceve una chiamata: la grazia è un rapporto, un’amicizia, è una relazione che si stabilisce con Dio. La risposta a questa chiamata all’amicizia è grazie! Grazie Signore! Grazia Maria! La Grazia, non è qualcosa che ricevo, ma è relazione che si stabilisce: c’è qualcuno a cui mi devo rivolgere. Attraverso il dono che Dio mi fa io entro in relazione con Lui.  La grazia è relazione con Colui che mi chiama, che mi rivolge una parola che orienta la mia vita. “Grazie”, cioè vivere il rapporto di gratitudine con Dio.

La seconda parola è: ECCOMI.

Se tu mi chiami Signore rispondo sì, come Maria. È quella scelta libera, lieta, generosa che si mette a disposizione della grazia ricevuta e la fa diventare come un seme che porta frutto. Come una decisione che mette in moto la vita. Questa particolare grazia ricevuta da Figino in che modo diventa eccomi? A cosa vi chiama il Signore? Siete stati protetti in un momento di guerra, dunque diventate persone che si oppongono alla guerra, che pregano perché non ci siano più guerra, che vivono le loro responsabilità, locali o universali, per contrastare le guerre. Il Signore vi chiama ad essere operatori di pace, seminatori di pace.
Questo è un tema così lontano dalla politica internazionale che sembra più interessata a dire da che parte stiamo, quanti soldi stanziamo nelle armi per distruggere. La parola PACE sembra che non si possa più pronunciare in mezzo ai conflitti. Perché se pronunci pace sembra che offendi questi che dicono “siamo stati assaliti, ci dobbiamo difendere”. Noi diciamo pace perché il Signore ci chiama a compiere opere di pace, là dove siamo, a pregare insistentemente per la pace. La pace non è un’opera che si compie per darci da fare, ma perché siamo stati chiamati dal Signore! Dobbiamo dire: non vogliamo che ci sia la guerra in nessuna parte del mondo. “Eccomi Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace!” come pregava S. Francesco.

La terza parola è INSIEME. 

Questo evento ha coinvolto l’intero paese, l’intera parrocchia. Essere operatori di pace non è una risposta individuale ma è risposta corale. Il paese custodisce questa grazia ed è unito insieme. Quando c’è  qualcosa di grande come costruire la pace, magari ci sono beghe e antipatie ma dobbiamo andare oltre, oltre! Siamo un paese benedetto! Dobbiamo sentire questo spirito corale. Questo paese a motivo di una grazia ricevuta 80 anni fa è luogo di grazia, in cui si ama la pace! Dov’è Figino? È nella pace. Cosa si fa a Figino? A Figino si costruisce la pace.

Queste sono le mie tre parole e il mio augurio. Ho partecipato volentieri a questo momento di preghiera. Non sia questo solo un grato ricordo, ma sia un rapporto di gratitudine col Signore, sia risposta al Signore dicendo “Eccomi”, sia un convenire che ci unisce insieme.

 

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